Uno scienziato alle prese con la creazione di un varco tra diverse dimensioni negli anni sessanta. Pochi alieni coraggiosi che cercano di sventare un piano che potrebbe mettere in pericolo due realtà. Un ingegnere friulano contemporaneo che nota delle luci sopra le montagne a lui care e cerca di scoprire di più. Un portale in grado di mettere in comunicazione queste realtà in un’unica vicenda
Sono questi gli elementi portanti de Il muro di luce, un romanzo che cerca di rielaborare alcuni elementi classici della fantascienza in maniera personale e innovativa.
La trama rimane sospesa per buona parte del libro: si intuisce che le varie vicende dovranno incrociarsi prima o poi, se si conosce un poco il genere, perciò si aspetta pazientemente che ciò avvenga… Ma questo contatto tanto atteso avviene troppo tardi, a mio avviso: il romanzo infatti mi ha trasmesso la sensazione di una lunga, lunghissima premessa per stringere l’azione vera e propria nelle ultime cinquanta-sessanta pagine, quando le diverse vicende si uniscono, ma è difficile a mio avviso riuscire ad arrivarci, tanto che a un certo punto diventa quasi faticoso credere che non si congiungeranno mai. Le vicende dello scienziato e dell’alieno che lo contatta non mi hanno preso nella loro ripetitività e nel cliché dell’interrogatorio brutale, e nemmeno Marco è riuscito a conquistarmi nelle sue vicende quotidiane ordinarie, se non banali, ma soprattutto irrilevanti ai fini della vicenda. L’incrocio delle varie vicende fa proprio da demarcazione, ma quando finalmente le cose sembrano vivacizzarsi, tutta l’azione è descritta con lunghi elenchi di azioni, sempre con un ritmo che non riesce a prendere verve, anzi, le frasi brevissime col punto fisso rischiano solo di spezzettare di più le scene, senza però dare maggiore velocità. Ci sono molte ripetizioni, che contribuiscono ad appesantire la lettura, e soprattutto non ho capito la presenza di alcuni paragrafi che dal presente passano al trapassato prossimo in barba alla consecutio.
I personaggi rischiano di essere molto stereotipati, in particolare i militari di entrambe le fazioni: da un lato Cody, che dopo il classico discorsone paternalistico sulla storia e il bene dell’ignoranza collettiva su certe vicende vuota il sacco in un minuto, dall’altro i soldatoni cattivi con tanto di interrogatorio con tortura standard e monologhi da malvagio. Marco risulta antipatico e non si scrolla questa percezione di dosso per tutto il romanzo, anche per l’insistere su certi dettagli spesso ripetuti, forse autobiografici, come la marca dell’auto o dei gadget tecnologici, o alcuni flussi di pensiero anche qui paternalistici, in particolare sul suo lavoro o sulla tecnologia. Se il suo compagno di avventura viene introdotto tardi, ci si sofferma invece su molti personaggi che saranno poi “abbandonati”, a cominciare dalla fidanzata di Marco: seguiamo le sue beghe di lavoro, l’organizzazione della vacanza (a un certo punto pensavo che il contatto alieno alla fine sarebbe avvenuto a Sharm El-Sheik, visto quanto tempo viene dedicato alla preparazione di questo viaggio), alle problematiche di coppia con Marco e così via, ma dal momento in cui Marco comincia la sua avventura finale Paola diventa solo una meta a cui tornare, e tutte le vicende che riguardano anche lei rimangono irrisolte, anche a causa del finale un po’ sbrigativo.
Soprattutto, ero molto intrigata dall’ambientazione di questo romanzo, il Friuli Venezia-Giulia, mi è subito sembrata originale per una trama fantascientifica dal sapore molto classico, un connubio interessante: non sono mai stata in questa regione, anche se conosco abbastanza bene il versante altoatesino delle Dolomiti, e speravo di tuffarmi nell’ambientazione e scoprire un po’ d’Italia che ancora non ho avuto il piacere di conoscere, oltre a identificarmi nella passione per l’alta montagna.
Sono rimasta un po’ delusa, però: l’ambiente in cui si svolge la maggior parte della storia rimane piatto e abbastanza anonimo, sfondo di lunghi elenchi di azioni abituali e insignificanti svolte dal protagonista o dai personaggi che gli girano intorno; temo che potremmo essere a Pordenone come a Canicattì, per me che non conosco la zona dove si svolge il romanzo. È stato davvero frustrante non riuscire a immaginarsi il luogo di cui si sta leggendo. Apprezzo il tentativo di parlare della propria zona in un romanzo fantascientifico, ma credo che una simile scelta di ambientazione vada resa sensata e coerente con la trama.
In generale, Il muro di luce mi è parso uno di quei romanzi in cui l’autore non riesce a fare un passo indietro e a scindere da sé la storia che ha scelto di raccontare: penso sia molto bello voler dare spazio alle proprie terre d’origine in quello che si scrive, ma bisogna rendere fruibili i propri luoghi cari anche a chi non li conosce, e dar loro un senso ai fini della trama. Mi è sfuggito proprio il senso della triangolazione New York – Pordenone – Montauk, se non si considerano le radici dell’autore, ma mi sarebbe piaciuta di più una spiegazione interna al romanzo. Avrei preferito inoltre che si riuscisse a delineare meglio lo svolgimento dell’anima fantascientifica della storia, piuttosto che insistere su dettagli ripetuti più e più volte che rimangono irrilevanti al fine della vicenda, e rischiano di indisporre ancora di più il lettore, data la quantità di informazioni in sostanza non importanti; ad esempio, mi sarebbe piaciuto un approfondimento su come le Nazioni aliene e gli umani hanno stretto un accordo, o le diverse alleanze su fronti opposti tra le due specie, perché avrebbe potuto essere uno degli elementi più originali e caratterizzanti di quest’opera.
Credo che per autore sia importante nella pianificazione capire quanti e quali dettagli di una caratterizzazione risulteranno importanti per un lettore e quanto sia utile solo a suo uso e consumo nella creazione dell’opera, e stornare di conseguenza per lasciare più spazio ai tratti che possono rendere davvero unici e indimenticabili i suoi romanzi.
Autore: Emiliano Grisostolo
Titolo: Il muro di luce
Editore: CIESSE Edizioni, 2014
ISBN: 9788866601159